Un sistema integrato con il “trattamento” dei malati gravi con l’eutanasia e i test genetici prenatali.
C’è qualcosa che non va nell’industria farmaceutica se è possibile leggere notizie come quella apparsa il 26 Maggio scorso sul Corriere della Sera con il titolo “Trovato farmaco per grave malattia Ma nessuno lo produce“, la vicenda è così riassumibile:
Dopo anni di studi, i ricercatori dell’IFOM di Milano hanno identificato e descritto la causa di una gravissima malattia genetica, principale causa di emorragia cerebrale nei bambini sotto i 10 anni e hanno scoperto che un vecchio farmaco, fuori brevetto, potrebbe curarla…In Italia ci sarebbero quindi circa 300 mila casi di CCM. Colpisce nel 25-30% dei casi bambini e ragazzi sotto i 20 anni, nel 60% adulti tra 20 e 40 anni, e per il 10-15% gli ultra-quarantenni. Ad oggi l’unica terapia possibile è la chirurgia che però spesso è impraticabile perché pericolosa, in quanto il bisturi può facilmente danneggiare le parti sane del cervello…Il farmaco però, da tempo fuori brevetto, non è più prodotto e nessuna casa farmaceutica, nemmeno quella che lo produsse per prima, è disposta a rimetterlo in commercio, perché lo giudica poco remunerativo. Dejana e i suoi colleghi, anche sulla spinta emotiva trasmessa loro dai genitori dei piccoli malati, sono da tempo alla ricerca di una soluzione, senza poterla trovare. «È un peccato – commenta sconsolata Dejana – perché, una volta tanto, eravamo riusciti a trovare un farmaco in gran parte già sperimentato, quasi pronto per l’utilizzo, ma nessuno vuole produrlo, bloccando ogni possibilità di trattamento dei pazienti colpiti da questa gravissima malattia»
Siamo quindi davanti al un caso di un farmaco che potrebbe curare circa 300.000 pazienti solo in Italia ma che nessuno vuole produrre perché “poco remunerativo”. Il problema non è però circoscritto al caso della CCM ma è ben più ampio ed è ad esempio all’origine del nuovo allarme sulla diminuita efficienza degli antibiotici (vedi Corriere della Sera del 30 Aprile 2014 “I super-batteri devastanti Vecchie infezioni tornano a uccidere“). Che alla base della diminuita capacità degli antibiotici ci fosse la rinuncia delle industrie farmaceutiche ad investire nella ricerca era stato già detto nel Dicembre del 2011 sempre sul Corriere nell’articolo “Così un batterio cancellerà la specie umana“:
L’affermazione è importante e va evidenziata: “Di infezione o si guarisce o si muore e così la cura è per poco, i farmaci per la pressione alta o il colesterolo invece si prendono per tutta la vita e rendono molto di più.” In poche parole la logica del profitto è chiara:
Conviene investire in malattie non mortali e dalle quali non si guarisce.
Non sarà quindi ritenuta remunerativa neanche la ricerca di cure per le malattie genetiche che possono essere diagnosticate entro il terzo mese di gravidanza e affrontate ricorrendo all’aborto. Riguardo questo tipo di patologie la tendenza è data dalla diagnosi prenatale mediante amniocentesi che consente di individuare la presenza della trisomia 21 (sindrome di Down), i dati in tal senso indicano una riduzione delle nascite di bambini Down proprio per via del ricorso all’aborto, nel 2009 si è calcolato che i bambini abortiti perché affetti dalla sindrome di Down siano stati 1.118:
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Se la stessa tendenza dovesse affermarsi per altre patologie di origine genetica non sarebbe un buon investimento quello nella ricerca di cure che verrebbero sempre meno richieste. Nel gennaio 2014 sul New England Journal of Medicine è apparso un articolo che tratta proprio della possibilità di ottenere una sequenza completa del genoma entro i tre mesi di gravidanza, ma nel caso di ricorso alla fecondazione assistita eterologa sarà possibile escludere ancor prima della scelta del donatore la presenza di determinate patologie, il servizio è offerto dalla società Gene Peeks per un costo contenuto in circa 1.500 Euro.
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Le malattie genetiche secondo questa visione dovrebbero restare un retaggio delle classi povere che non potranno permettersi l’analisi genetica fetale (o ancor più, embrionale) o la fecondazione eterologa.
Se dunque c’è da aspettarsi uno stop dello studio e della produzione di farmaci per le malattie di origine genetica, le cose non sembrano andare diversamente per altre patologie gravi e quelle proprie dell’età avanzata in quanto la tendenza sarà quella di non inserirle tra quelle fornite dai servizi sanitari per motivi di costo (o di non produrle come nel caso degli antibiotici). Al riguardo è stato espresso un parere significativo dal Ministro delle Finanze giapponese Taro Aso nel gennaio 2013: “Let elderly people ‘hurry up and die’, says Japanese minister“. Nella stessa direzione vanno i recenti orientamenti in Belgio dove nel Febbraio 2014 sul Journal of Critical Care è apparso l’articolo ““Piece” of mind: End of life in the intensive care unit Statement of the Belgian Society of Intensive Care Medicine” nel quale si sostiene la necessità dell’eutanasia per i pazienti in terapia intensiva anche in assenza di autorizzazione esplicita. Ancora oltre si spinge la proposta formulata nel maggio scorso dalla società svizzera EXIT di estendere il suicidio assistito alle persone anziane, anche non malate, che ne facciano richiesta.
Con il termine “farmaco”, che in greco significa anche “veleno”, si intende una sostanza impiegata al fine di ripristinare in primo luogo lo stato di salute del paziente e in secondo luogo di alleviare o eliminare i sintomi di una malattia. Con lo spostamento della centralità dell’azione dall’Uomo al profitto il farmaco è diventato in primo luogo un investimento da far fruttare il più possibile, ilfarmaco che non guarisce è dunque una conseguenza del tutto logica e consequenziale di fronte alla quale non è consentito formulare giudizi di “assurdità”.
Ed è proprio la logicità del fenomeno a far porre l’attenzione sull’impostazione socio economica che ne è all’origine, quel liberismo che trova le sue origini nella teoria della “mano invisibile” del mercato di Adam Smith secondo la quale lasciando liberi i diversi soggetti di perseguire il proprio vantaggio personale si ottiene come conseguenza il vantaggio generale.
La deriva dell’industria farmaceutica è dunque tale nel senso più stretto del termine, si tratta della direzione verso la quale si dirige spontaneamente qualcosa spinta da una corrente, e la corrente in questo caso è il liberismo economico al quale anche le leggi si adegueranno in quanto ispirate alle stesse idee.
L’unica possibilità per tornare a porre al centro della ricerca e dell’industria farmaceutica i farmaci che guariscono è quella di operare una mutazione della visione antropologica, una mutazione che ponga l’Uomo al centro, come fine e non come strumento.
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